C'erano una volta i froci.
Quelli delle barzellette, quelli delle gag comiche, quelli che sculettavano e battevano le ciglia. Quelli del "Vizietto", quelli che ti strappavano sorrisi ironici, quelli che un figlio, sia mai, piuttosto prete.
E poi, a un certo punto, è cambiato tutto. Non per caso: sono arrivati registi come Almodovar, in Italia Ozpetek, a piantare i germi della mutazione culturale, con toni e maniere molto diverse, e da allora tutto è cambiato, la nostra concezione (o semplicemente, la conta) dei sessi si è andata erodendo, pezzo per pezzo ma molto più rapidamente di quanto non avremmo mai potuto credere, tanto che loro, i finocchi, con i loro amori, sono sbarcati dappertutto, persino nelle fiction per famiglie ("questi spuntano come funghi"). Quelle stesse battutine che facevamo hanno perso di mordente, pian piano, e non fanno più ridere come prima, di gay oggi si dibatte come mai si era fatto prima, e non più soltanto in terza persona. Tutto questo anche grazie a un pugno di film semplici e coraggiosi, perché il cinema è un mezzo potentissimo, il vero cinema non si limita a raccontarci una storia, ma permette di immergerci in vite e situazioni facendole diventare in qualche modo "nostre". Abbiamo tutti viaggiato nello spazio, perso i nostri cari, siamo stati tutti dei tossicodipendenti, abbiamo ammazzato per vendetta e siamo stati tutti felici e ricchioni, grazie al cinema. Magari senza aver voglia di baciare il protagonista maschile, ma iniziando a capire, e non è poco, che l'amore è amore, punto.
Non che il mondo sia cambiato, non drasticamente, non abbastanza; e con "Mine vaganti" Ozpetek torna a mostrarci quel che siamo, a scavare nei nostri pregiudizi duri a morire, a sbatterci in faccia battute, parole, stereotipi (giocando, anche, a mostrarceli perfettamente realizzati, come a dire: embé?), prendendo come spunto "scenografico" una piccola roccaforte dell'omofobia nel nostro profondo sud (ma Milano non sarebbe stata diversa, solo meno eclatante), e la storia di una famiglia con tutti i suoi piccoli segreti, le sue verità negate e le piccole mine vaganti pronte a farle esplodere. Basta una scintilla, a lungo temuta e trattenuta, per far scoppiare tutto, per far cadere il velo di quella normalità apparente, pretesa, e liberare fantasmi passati e presenti.
La diversità non solo sessuale, raccontata tante volte da Ozpetek, diventa così una scusa per far venire a galla delle realtà taciute, e i personaggi e le storie segrete, i folli, le mine vaganti, diventano un'occasione per liberarsi dall'ipocrisia delle maschere e dei ruoli cui tutti noi uomini e donne gay o etero siamo costretti. Abbiamo tutti un qualche outcoming da fare, e, fatta tana (anche attraverso la farsa, l'ironia, la risata, la commozione), siamo liberi tutti. Perché in questa commedia intensa, deliziosa, buffa, intelligente, splendida (esteticamente, anche: quest'estate tutti vorremo andare a Lecce, possibilmente in compagnia di Nicole Grimaudo, a proposito di splendore), più che in molti altri film di tema omosessuale, il valore vero è dato proprio dall'esplicita universalità del messaggio: non puoi essere felice senza essere libero di essere te stesso.
Non occorre certo essere omosessuali per capirlo (né per aver voglia di uscire dal cinema sculettando al ritmo di "50000 lacrime", instant classic di Nina Zilli, agitando gai una sciarpa come fosse un boa di piume), ma forse ci voleva una mina vagante come il bravo regista italo-turco per ricordarcelo.
SCHEDA TECNICA DEL FILM
Anno
2009
Altri titoli
Loose Cannons
Durata
116
Origine
ITALIA
Colore
C
Genere
COMMEDIA, DRAMMATICO
Specifiche tecniche
35 MM
Produzione
DOMENICO PROCACCI PER FANDANGO IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA