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Recensioni
Cinema

 
IL DIVO
di Paolo Sorrentino
ITA-FRA - 2008

di Bianca Scicolone

Parliamo della prima lettera dell’alfabeto, del gobbo, della volpe, del moloc, della salamandra, del Papa nero, dell’eternità, dell’uomo delle tenebre, di Belzebù, parliamo del “Divo Giulio”, ovvero de “La spettacolare vita di Giulio Andreotti”. Ironico, grottesco, realistico e romanzato al contempo, tutte caratteristiche della pellicola che vede Toni Servillo indossare l’immobile maschera di colui che è stato 25 volte Ministro e 7 volte Presidente del Consiglio della Repubblica. L’uomo che ha partecipato e partecipa tutt’ora alla storia della politica italiana, che ogni mattina alle quattro e mezza si dirige in chiesa per parlare non con Dio (“lui non vota”), ma con i preti.

Il rappresentante più autorevole della Democrazia Cristiana, quel partito che ha cambiato radicalmente il modo di fare politica: “meglio tirare a campare che tirare la cuoia”. Il film di Paolo Sorrentino vincitore a Cannes del premio della giuria, narra le vicende di Andreotti a partire dall’ultimo governo sino all’inizio del processo che lo vede accusato di associazione mafiosa. Un riconoscimento meritato per una pellicola che gioca sulla statuaria, impassibile ed emicranica figura del presidente Andreotti e quella di tutti politici a lui vicino: Cirino Pomicino, Giuseppe Ciarrapico, Salvo Lima, Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella e Fiorenzo Angelini.

Il film inizia con la musica dei Cassius, da sottofondo alle tragiche scene di stragismo e mafia, degli innumerevoli omicidi della criminalità organizzata, subito dopo, sullo schermo in primo piano, le aspirine e Andreotti col volto trafitto dagli aghi utilizzati in agopuntura, con un’emicrania che “non riesce a passare nemmeno con i rimedi cinesi”. Romanzo e realtà si intrecciano; tragiche situazioni, come tutti gli omicidi mafiosi, quelli che in qualche modo vedono il senatore a vita coinvolto (Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli), i suicidi dopo lo scandalo di Tangentopoli, le parole accusatorie del vescovo durante il funerale di Lima, le confessioni dei pentiti, si fondono con fotogrammi surreali, romantici, oserei dire teneri: per esempio quando il Divo-Belzebù accarezza la mano della moglie, mentre insieme guardano Renato Zero in tv che, davanti ad una folla oceanica, canta “I migliori anni della nostra vita”.

E poi la scena a mio parere più grottesca e più geniale del film, il bacio tra lo stato-potere Andreotti e Riina l’antistato-contropotere. Un bacio con un sottofondo musicale romantico, che parte nel momento stesso in cui Andreotti si alza dal divano per poter salutare, baciandolo sulla guancia, Totò Riina. Andreotti è impassibile, al contrario della Belva che sorride felice quando fa ritorno a casa in macchina con un’espressione serena, incantata, stampata sul suo volto anche mentre taglia le verdure del suo orticello.

Altro episodio, che sottolinea la scaltrezza e la furbizia dell’uomo politico, è l’intervista con Eugenio Scalfari, in cui Andreotti attribuisce non al caso, ma alla volontà di Dio le vicende illegali che in qualche modo lo vedono coinvolto. D’altronde come dice lui stesso, mentre fotografi e cameraman riprendono in toto il VII governo: “Guerre puniche a parte mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia”.

Nel corso del film infine aleggia la figura di Aldo Moro, delle sue parole scritte nel corso della prigionia. Parole accusatorie contro l’immobilismo del governo di fronte al suo rapimento, ma in primis colpevolizzanti l’atteggiamento di Giulio Andreotti. “Che cosa ricordare – scrive Moro- di un regista freddo, impenetrabile, senza dubbi, senza palpiti, senza un momento di pietà umana… Si può essere grigi ma onesti, grigi ma buoni, grigi ma pieni di fervore è questo che le manca – conclude Moro rivolgendosi sempre all’ex presidente- il fervore umano, quell’insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità…”. Un’allegoria del potere, di quello che succede nei grandi palazzi.

L’allegoria di un uomo che ha sconvolto, segnato la storia della nostra Repubblica, cambiando la logica stessa delle cose. La prova è il lungo monologo in cui Servillo alias Andreotti afferma che la verità non è una cosa giusta che è invece la fine del mondo, e non si può consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. “Abbiamo un mandato, noi - urla -. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch'io”.

 

SCHEDA TECNICA DEL FILM

Anno: 2007
Durata: 110
Origine: ITALIA
Colore: C
Genere: BIOGRAFICO, DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM
Distribuzione: LUCKY RED
Data uscita: 28-05-2008

Regia
Paolo Sorrentino

Attori
Toni Servillo Giulio Andreotti
Anna Bonaiuto Livia Andreotti
Piera Degli Esposti Sig.ra Enea, segretaria di Andreotti
Paolo Graziosi Aldo Moro

 

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