di Giuseppe Magnano
Importanti ed evidenti passi in avanti sono stati fatti dal 1998 ad oggi da questo quartetto italianissimo che sembra provenire per metà da Stockton (California) e per metà dalla provincia di Glasgow.
Li ho visti nel 2003 al Neapolis festival e mi colpirono piacevolmente con il loro sound sporco e melodico, tipico dei primi lavori dei Pavement (Slanted & Enchanted, Westing, Crooked Rain); oggi, a distanza di soli due anni, con quattro album all’attivo, mi hanno letteralmente entusiasmato per la maturità raggiunta con questo ultimo lavoro, Toast Masters.
I suoni sono sempre ispirati ad una cultura prettamente lo-fi ma si avvicinano moltissimo ad importanti bands dell’ultimo decennio quali Delgados, Grandaddy e Mercury Rev.
Le melodie sono eccezionali e la semplicità del sound si sposa perfettamente con l’intensità di un cantato morbido e piacevole. Un’evoluzione non tanto scontata considerata la produzione strettamente indie e la prevedibile voglia di grossi contratti per dei ragazzi non più tanto adolescenti, che preferiscono mantenere il loro stile anziché svendersi alla migliore major offerente in cambio di un po’ di commerciale banalità (vedi Marlene Kunz, Subsonica, Afterhours, et similia).
La loro tourneé, da aprile, gli ha permesso di esibirsi non solo in tutt’Italia ma anche in Europa con ben tre date a Londra, città difficile per una band italiana che, ciò nonostante, è ben considerata dal pubblico d’oltralpe e dalla severissima e patriottica critica musicale inglese che gli ha riservato il positivo trattamento di tutto rispetto che merita (Mojo 3/5).
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