di Florinda Ipocoana
Era il 2009 quando con “To Lose My Life” questi tre giovanotti inglesi di Londra ci convinsero debitamente… Passano due anni ed esce il loro secondo lavoro, da sempre il più ostico, per qualunque artista, ed ahiloro, stavolta niente botti e fuochi d’artificio. E dire che in tanti aspettavano trepidanti il seguito del convincente esordio (non noi che davanti talune ‘next big thing’ spesso restiamo un passo indietro, ad osservare…) Delusi in toto dal primo singolo estratto, “Bigger Than Us”, che proprio non ci piace, cominciamo a dubitare seriamente; ma all’ascolto di tutto il lavoro, non possiamo che dire: ma che motivo c’era di ripetersi con tanta evidenza?! Accettando l’elogio ai Joy Division ed al passato dark-wave, non possiamo non riscontrare una quasi totale mancanza di novità verso se stessi, innanzitutto, pur nella ripetitività. Colleghi come Editors o Interpol docet… Unico tocco di cambiamento l’elettronica, adesso più presente, forse anche grazie al nuovo produttore Alan Moulder (quello di Depeche Mode, My Bloody Valentine e Jesus and The Mary Chain per intenderci.)
Insomma, per farla breve, ci piacquero ma non ci entusiasmarono due anni fa, ci deludono, o quasi oggi, trovando il loro nuovo album fatto discretamente bene, ma inutilmente monotono e clonato, troppo… I temi sono quelli dell’amore e della morte, la voce di McVeigh troppo pomposa e monocorde e comunque, all’ascolto di ogni singola traccia consideriamo il tutto la copia della copia della copia. Non fatta malissimo, ma ora basta!!! Crediamo possa piacere più a qualche adolescente triste o a chi non sa rinunciare MAI a suoni troppo legate al passato.
Ma prima di sembrare antipatici o troppo severi, analizziamo pian piano, le tracce di questo “Ritual”, ed arriviamo quindi alle conclusioni…
Apre le danze “Is Love”, che ci convince decisamente poco. Saltando silenziosamente a piè pari “Strangers” e “Bigger Than Us”, arriva una “Peace & Quiet” che ci fa pensare a sonorità synth - wave anni ’80, Human League e primi Ultravox su tutti. Ecco finalmente i soli tre brani dell’intera opera che ascoltiamo comunque con piacere, “Streetlights”, “Holy Ghost” (la nostra preferita) e “Turn The Bells”. Anche qui i richiami sono i ‘soliti’ Joy Division ed i primi Depeche Mode. Ma almeno le melodie sono meno ripetitive ed il cantato meno sontuoso; e quel pizzico di elettronica suona più gradita e meno scopiazzata… Ed ecco infine le ultime tre tracce, tediose, pesanti, grevi ed indigeste!
Insomma, forse perché speravamo in altro o forse perché se proprio dobbiamo ascoltare cloni preferiamo quelli fatti bene, non possiamo che dare una quasi sufficienza al nuovo dei White Lies, delusi soprattutto dalle parole del leader e del batterista che anticipavano un lavoro del tutto lontano dal primo per sonorità e testi.
Che dire a conclusione? Siamo nel 2011, ma piuttosto che queste nuove realtà, tanto acclamate quanto deludenti, rimanendo in tema di dark, preferisco ristorarmi con un eccezionale e sempre attuale “Love Will Tear Us Apart", che mai ci stancherà!
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