di Fabio Milardo
Ci vuole stile anche nel saper raccontare la sofferenza di un’adolescenza piena di insoddisfazione, paura e dolore: dolore di essere puri di cuore.
Solo dal nome si percepisce la tendenza indie pop di questi quattro ragazzi newyorkesi, dopo l’ep uscito nel 2007 dovevano aspettare questo debutto per potersi considerare maturi.
E’ il loro pathos adolescenziale che invade l’intero album a evitare la limitatezza musicale tra Smiths ed M83, soprattutto per quanto riguarda i testi.
Il basso dall’attitudine darkwave evidenzia la dinamica dei feedback che riversano come pioggia l’anima shoegaze, dove sembra concretizzarsi lo scuro stile inglese dei primi anni novanta.
L’efficacia del ritornello sdolcinato, ripreso anche da melodie pop scozzesi (Pastels), è sinergico agli intrecci vocali che sembrano sfuggenti, ma entrano subito in circolo; da lodare lo stile eclettico nei passaggi tra le seducenti coltre di feedback e il tenero lirismo pop che non ci fa pensare ad un revival dei primi nineties in quanto tutto è fatto in un espressione di disillusa spontaneità post adolescenziale.
I “the pains of being pure at heart” hanno elaborato i 33 minuti più importanti della loro vita in maniera impeccabile, nulla da dire: è proprio un debutto convincente.
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