di Fabio Milardo
Non è la solita band dal suono radiofonico, i Kings of leon portano il Tennessee in Gran Bretagna dove raggiungono la popolarità, provenendo da quello strato indie di cui l’Inghilterra è padrona; che sono americani lo si capisce dalle leggerissime schegge country: ”Only by the night" ha un singolo che non supera le loro capacità, non esagerano andando alla ricerca del suono perfetto ed elaborato ma ci fanno divertire con un lavoro semplice e coinvolgente.
Caleb Followill è come se avesse nascosto la sua voce sino ad ora, appare eterogenea e più matura, a volte costernata, con un risultato che determina la vera e propria novità di questo album. I testi sono disperati e a volte poco comprensibili, ma fa parte della atipicità: c’è proprio di tutto, dalla sognante “closer” che parla delle sofferenze amorose di un vampiro, un viaggio introspettivo nel buio, quasi ipnotico, alla ballata di “sex on fire” nonché singolo, la leggera “reverly” e la grintosa “use somebody” con dei cori che ricordano gli m83.
Questi 11 brani sono la testimonianza del progresso dei 4 ragazzi (tre fratelli e un cugino), la tendenza al garage rimane ma abbonda l’atmosfera pop, nei precedenti tre dischi si sentivano solo quattro ragazzacci prettamente istintivi pronti a picchiare duro, adesso tutto è più ponderato e più placato. Quando si parla delle principali influenze per la band, Calen risponde che sono state l’alcool e i farmaci per recuperare la frattura al braccio, ma aver aperto le date di U2, Bob Dylan, Pearl Jam, Strokes ha influito sulla stesura avvenuta on the road tra una data e l’altra nel loro tour.
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