di Florinda Ipocoana
Dopo tre anni di silenzio dall’album "Hellequin Song" Cesare Basile torna a toccarci l’anima con l’ultimo grandioso “Storia di Caino” (URTOVOX, ennesimo cambio di label) con la produzione, oramai consolidata, di John Parish.
Lo ascolto, occhi chiusi, cuore aperto e due le idee che balzano immediatamente alle mie orecchie: una vicinanza musicale all’ultimo De Andrè ed una vicinanza tematica al vecchio De Andrè quasi spudorate.
Ma soprattutto non posso non notare che Cesare è cambiato! Il suo malinconico pessimismo non lo ha abbandonato, ma adesso ha una speranza che prima non trapelava così fortemente… Cesare vuole credere, vuole credere alla Vita, all’Amore e forse vorrebbe proprio avere fede, dove fede è fiducia cieca, di chi si affida totalmente… A cosa?! Non ha importanza; alle volte basta credere!
Come De Andrè, sin dalla prima struggente “Agnelli”, Cesare ci canta con il suo blues nervoso e scuro, le nefandezze umane, ma lo fa con una partecipazione che non è giudizio, né pietà.. Forse compassione, dove questa compassione è vicina al verbo “patire-con” l’altro, sentirne la sofferenza. La gente comune, il vivere quotidiano e le sue miserie cantate nelle emozioni, non nell’agito o nel fatto. Martiri di se stessi o dell’altrui indifferenza, i suoi eroi sono vittime, in eterna lotta fra il volere e il dovere, stolti, vili, coraggiosi, innocenti, carnefici…
Il canto è spezzato, la musica quasi assorda le orecchie di chi non vuol sentire nel suo ordine perfetto di note dolorose e le parole sono amare, crude e dirette come la vita che Cesare vuol decantare, celebrare quasi ad immunizzarsene, a renderla innocua difendendosene col canto e le rime…
Tutti incantevoli, davvero tutti, mi sottraggo dal citare ogni brano, ma per due deve fare le mie personali lodi al nostro amico-cantautore: “A Tutte Ho Chiesto Meraviglia” è la sua stessa vita, citata per corse ed arresti…
Chi lo conosce, la riconosce. Io ne ho pianto, quando con la sincerità di un bambino ci confessa che “ A tutte ho chiesto meraviglia, fracido fino all’osso e in lacrime. Al reverendo ed al suo bull terrier , ai tuoi occhi marrone… “ Lui, schivo ed alieno ad ogni confidenza, racconta un percorso doloroso, quel percorso che adesso lo porta finalmente a credere ed a scrivere “ All’Uncino di un Sogno”. A credere nelle allucinazioni che i sentimenti ci possono dare, ai loro incubi da sotterrare, a fidarci così tanto da rimanere da soli attaccati ad un acuminato gancio accomodato per dilaniarci l’anima…
Saluto Cesare con la sua frase più disperata, più ribelle, la più incorrotta: “ Non sapevo pregare, ma esigo la fede! Scelgo le tue mani… “
E saluto la folta schiera di artisti siciliani che lo hanno accompagnato nella realizzazione di questo splendore d’umana malinconia: Tazio Iacobacci, Massimo Ferrarotto, Marcello Caudullo e Marcello Sorge ed una citazione di doveroso rispetto per Giorgia Poli, ex Scisma…
“Credere è sempre l’atto più grande della promessa d’amore”, ha detto Cesare Basile. Ed in quest’opera l’ha cantato al nostro cuore…
www.myspace.com/cesarebasile
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