di Mauro Furitano
L’Invasione Britannica non si arresta, anzi continua a fermentare sulle note dei Mystery Jets, giovane band nata e cresciuta sulle rive del Tamigi, composta da quattro promettenti ventenni e da un veterano di nome Henry Harrison (nonché padre del cantante/leader del gruppo Blaine).
Il loro power pop, causa dei loro palesi riferimenti al passato, va ricercato nelle decadi precedenti strizzando l’occhio alla psichedelia degli anni sessanta ma anche alle melodie facilmente orecchiabili degli ottanta del tipo Talking Heads e Smiths, passando attraverso i novanta in stile Pulp, ancorati al nuovo millennio sulla scia degli odierni colleghi Franz Ferdinand, Maximo Park e Zutons.
Dopo un esordio in penombra con il primo album “Making dens”, che sembra essere contraddistinto da una natura squisitamente beatlesiana, il quartetto londinese dall’evidente scapigliatura, torna dopo 2 anni di silenzio col nuovo lavoro “Twenty one”: l’album, prodotto da un notissimo dj di origine turca di nome Erol Alkan, risulta ad un primo ascolto piacevole e ben articolato, ricco di paraculate fatte ad arte, ma che sicuramente non vuol passare inosservato, alternando atmosfere dimesse a quelle tipicamente danzerecce ricche di synth e schitarrate pop.
La voce spensierata ma mai banale del leader Blaine Harrison è accompagnata dai cori (ben riusciti) dei compagni di merenda William, Kai e Kapil che fanno del primo singolo “Young Love”, che vede la partecipazione della tenera e affascinante voce di Laura Marling (cantautrice folk inglese), e di “Two doors down”due dei tormentoni più affascinanti dell’intera estate duemilaotto.
Un bel lavoro, che non stravolge il primo, seppur interessante, ma che fa presumere che i dancefloor d’ogni dove siano, con il loro appiglio semi-adolescenziale, colmi all’inverosimile.
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