di Giuseppe Magnano
Nato nel 1988 a Dayton (U.S.A.), il progetto Breeders inizialmente viene intrapreso un po’ come una valvola di sfogo creativo per la bassista Kim Deal (Pixies) e la chitarrista Tanya Donelly (Throwin’ Muses). A queste artiste, che in questa formazione decidono di suonare entrambe la chitarra, si affianca al basso Josephine Wiggs dei Perfect Disaster, mentre alla batteria vediamo la partecipazione di Jim MacPherson. Il primo album ("Pod", 1990, 4AD) di questo gruppo, che propone un interessante pop-rock alternativo, viene prodotto dal mitico Steve Albini, e riscuote l’entusiasmo della critica nonché un certo interesse da parte del pubblico.
Due anni più tardi, dopo la realizzazione dell’EP "Safari", Donnelly lascia la band per dar vita a una propria formazione (Belly), e viene sostituita da Kelley Deal, sorella di Kim. All’inizio del ’93, quando le Breeders si trovano in sala di incisione per il loro secondo album, Black Francis decide di porre termine all’avventura dei Pixies, ciò che comporta per Kim un’ulteriore focalizzazione sul nuovo gruppo. Poco prima dell’uscita di "Last Splash" (1993, 4AD), il fortunatissimo singolo "Cannonball" proietta le Breeders nel mondo delle popstar, trascinando l’album fino alla soglia di platino. Ma si tratta dell’ultimo atto: questa improvvisa ascesa provoca tensioni inaspettate, e le due sorelle, due anni più tardi, decidono di sciogliere la band.
Dopo la separazione, Kim e McPherson proseguono la loro collaborazione sotto il nome di Amps, realizzando "Pacer" nel 1995, mentre Kelley incide l’anno successivo "Go To The Sugar Altar".
Dopo 9 anni di silenzio, che comunque non sono stati sufficienti per farci venire a nausea il capolavoro "Last Splash", tornano le Breeders o, meglio, "i" Breeders dal momento che la percentuale maschile della band è ora più alta. Oltre la mente fondatrice Kim Deal, questa nuova formazione vede Richard Presley alla chitarra, Mando Lopez al basso e Josè Mendeles alla batteria.
Produzione, manco a dirlo, del solito Steve Albini, figura chiave dell’alt-rock americano, con in tasca già una manciata di canzoni registrate da Kim due anni prima.
Tanti anni di assenza dalle scene e dagli studi di registrazione impediscono di trovare un filo conduttore che possa legare il nuovo Title TK, ai precedenti lavori.
Le Breeders sono oramai un gruppo totalmente diverso dal precedente; hanno in comune solo Kim Deal ma operano in un contesto che non è più il post grunge.
Title TK è un album con poche idee, scarso di vitalità, con brani slegati tra di loro che difficilmente riescono a coinvolgere l’ascoltatore che attende, impaziente, un decollo della melodia. Le Breeders si sono allontanate completamente dalle ispirazioni pop e si sono tuffate verso un dirty-rock molto cupo.
A parte qualche brano che mostra l’intenzione mal riuscita della band di trascinare l’ascoltatore ("Little Fury", "London Song") le altre canzoni sono di una noia mortale.
Degne di nota appaiono "Full On Idle" e "Huffer", che sono le uniche canzoni che si avvicinano un po’ a quello che l’ascoltatore si aspetta dal gruppo. Purtroppo questa band risente della stanchezza, dello sforzo, e dei momenti critici vissuti in questi 9 anni.
L’album è pieno di assoli irregolari, voci fuori tono, batteria faticosamente sincopata: il frutto di quello che Kim e Steve Albini chiamano "All Wave", ovvero una registrazione naturalistica che si sbarazza delle elaborazioni digitali per un suono reale e necessariamente più sporco, frutto di un‘inquietudine, irrequietezza e spirito rock mai sedato.
Adesso non resta altro che vederle dal vivo quest’estate.
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