Cosa accade se due maestri del giallo italiano decidono di scrivere un libro “a quattro mani”? Cosa succede se il celeberrimo commissario Montalbano incontra la meno celebre, ma non per questo meno acuta, ispettrice Grazia Negro di “Almost blue”?
A queste e a molte altre annose domande che, siamo sicuri, vi siete posti fin dalla più tenera età, potrete finalmente trovare risposta leggendo “Acqua in bocca”, la prima e finora unica fatica letteraria in comune di Carlo Lucarelli e Andrea Camilleri.
Tutto inizia a Bologna. Un uomo originario di Vigata viene trovato morto, soffocato con un sacchetto di plastica, di quelli usati per trasportare i pesciolini degli acquari. Le circostanze del delitto ed altri strani indizi incuriosiscono l’ispettrice capo Grazia Negro che decide di rivolgersi per un aiuto al commissario Montalbano. Il buon Salvo capisce subito che si tratta di una richiesta pericolosa e risponde ufficialmente di non essere interessato. In realtà comincerà un fitto carteggio fra i due, fatto di messaggi cifrati, lettere, pizzini, e persino cannoli imbottiti che insieme ad documenti ufficiali, verbali della polizia, ritagli di giornale costituiranno l’ossatura del giallo. La prudenza di Montalbano sarà giustificata perché col procedere delle indagini i due scopriranno di avere a che fare con i servizi segreti - adeguatamente deviati - e di rischiare più di quanto avrebbero potuto immaginare. I nostri eroi s’incontreranno solo nel finale, ambientato a Milano Marittima, dove, per nostra fortuna, non avranno alcuna storia d’amore. La conclusione, non particolarmente originale, sarà movimentatissima e degna di un Mel Gibson d’annata.
Il risultato di questa epica collaborazione è un libro che, seppure divertente e insolito, risulta limitante sia dello stile sia dell’inventiva degli autori. In realtà non esiste una vera e propria trama, le deduzioni cadono dal cielo, i personaggi appaiono come tanti deus ex machina nei punti morti del racconto, e i loro comportamenti sono quanto di più stereotipato e scontato si possa immaginare. Per esemplificare meglio il livello d’inventiva profuso a piene mani dai due maestri del giallo italiano, ci basterebbe accennare alla scarpa col tacco che cela uno scompartimento vuoto e all’orologio che nasconde un microfilm, due espedienti che i lettori di Topolino consideravano obsoleti già qualche decennio fa…
Eppure come ci viene espressamente ricordato nel punto clou del libro - la postfazione dell’editore - i due hanno impiegato ben cinque anni per partorire una siffatta creatura, all’incredibile media di 20 pagine l’anno (sommario e spazi bianchi compresi)! I cultori del ciclo di Montalbano potrebbero rimanere un po’ perplessi: il commissario non dice una parola in siciliano (a parte le solite colorite esclamazioni), ha perso i capelli come il suo alter ego televisivo, ma conserva i baffi, e in alcune occasioni dice e fa delle cose che negli altri suoi racconti non penserebbe neanche. Ma, mentre la classe innata e il mestiere di Camilleri seppure faticosamente, traspaiono ugualmente, Lucarelli è costretto persino a citare se stesso, ed ad inserire a casaccio un altro suo personaggio per ricordarci che anche lui partecipa all’impresa.
Si tratta in pratica di un libro da spiaggia da leggere in una mattinata, un divertissement con guest star (l’immancabile Catarella, l’ispettore Coliandro, Mimì Augello…), già arrampicatosi in cima alle classifiche di vendita - il che non è necessariamente un buon segno - ma i cui diritti d’autore andranno in beneficenza - che invece è sicuramente un bel gesto.
Cosa dire dei due autori che non sia già stato detto mille volte? Lucarelli è l’emblema dell’ecletticità, ha scritto e fatto di tutto. Al suo curriculum mancano solo un disco con Ligabue e una mostra di scultura. Camilleri è ormai una icona vivente, il grande vecchio della letteratura italiana, creatore di un personaggio che è diventato più grande di lui ed ha oscurato tutto il resto della sua deliziosa produzione artistica, nonché un benemerito dell’industria mondiale del tabacco.
Che il dio della letteratura ce li conservi ancora per molto tempo, ma possibilmente a debita distanza.
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