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dedicato a Umberto



Prose is prose
is prose...

 

Io e i Nirvana

di Francesco Imperatore

 


"Il peggior crimine è l'inganno.
Ho bisogno di staccarmi dalla
realtà per ritrovare l'entusiasmo
che avevo da bambino. Sono anni
che non provo più niente. Anche
la mia musica non è più sincera".
Kurt Cobain

 

Il “Paradiso” di Amsterdam è una vecchia chiesa sconsacrata. Suonarci dentro è come esibirsi al Madison Square Garden.
Il trampolino di lancio verso un successo garantito. Dentro la storia per sempre.

Per una settimana intera MTV pubblicizzò un gruppo, allora sconosciuto, che sbarcava per la prima volta in Europa dalla fantascientifica Seattle. Il suo nome mi ricordava qualcosa di etereo e potente, che mi si impresse per sempre nella curiosità dei pensieri: NIRVANA.
Nella mia stanza, nel labirinto multirazziale di uno squat di periferia, si alternavano turisti di facili costumi che si lasciavano piacevolmente comprare. D’altronde, il mio fornitore rasta giamaicano Zed mi passava soltanto roba di prima qualità, ed io ero bravissimo a cucinare.
Preparavo delle bombe esplosive di crack!

Il primo tiro lo offrivo gratis, era quello più forte e genuino. Poi tagliavo l’essenza con pura mescalina liquida. Così dopo la prima botta spillata nel cervello, seguiva un bel viaggio interstellare. Tutti i sensi si alteravano per perdersi nell’esaltazione di una dea in calore. Ho sempre preferito lo shock devastante delle droghe dall’effetto immediato e allucinogeno, per orgasmizzarmi dentro una visione più nitida della realtà.
E mi facevo pagare fior di quattrini. Il piacere costa caro.

Una sera Donato, il mio piccolo amico e socio in affari, un ragazzino davvero elettrizzante che si faceva chiamare Speedy per la velocità che lo proiettava già in un futuro immediato anticipando le trame oscure della perdizione, mi presentò uno strano tipo dall’aria completamente persa di chi sapeva benissimo cosa faceva, che mi trascinò in un diabolico business.

«Tu mi lasci provare e io ti do l’opportunità di assistere ad uno spettacolo che segnerà indelebilmente la tua vita. Ti lascio due biglietti del concerto dei Nirvana. Un giorno varranno una fortuna».
Tutto questo in uno slang di putrido americano, sicuro ed esaltato della sua affermazione.

Così mi ritrovai al concerto. Un’ora e mezza ininterrotta di pura rabbia esistenziale dirompente, nella distorsione di un’acustica perfetta: gli antichi ne sapevano una più del diavolo!

Non ricordo più quanti acidi mi sarò sciolto sotto la lingua quella notte maledetta. Sapevo che stavo esagerando ma c’era un feeling satanico nella voce agghiacciante del cantante leader Kurt Cobain che mi lacerava il corpo in più punti. Lo stesso sconosciuto che aveva bussato alla porta della mia alcova parecchie ore prima. Sentivo il battito del suo cuore sanguinante nelle mie vene.

Quella sera venne a trovarmi un angelo. Aveva gli occhi azzurri e il volto di un bambino infelice. Oppure, forse, era il fantasma della sua morte che venne dal futuro a ritoccare il suo passato, a trasmettere tutto il suo amore nella mia anima, attraverso la visione di un’esperienza fuori da qualsiasi portata cognitiva.

Questo era il defunto Kurt Cobain che amava aprire i suoi concerti con la mitica cover dei Who “My Generation”.

«Let me die before I get old, let me die before I wither»
(«Spero di morire prima di diventare vecchio, spero di morire prima di appassire»)


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