“A vendere in qualche modo la rivelazione di un complotto, non dovevo provvedere all’acquirente nulla di originale, bensì soltanto e specialmente quello che o aveva già appreso o avrebbe potuto apprendere più facilmente per altre vie. La gente crede solo a quello che sa già, e questa era la bellezza della Forma Universale del Complotto.”
“Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria.”
A cinque anni dal suo ultimo romanzo il professor Umberto Eco torna alla narrativa e ad un travolgente successo, con un lavoro a metà fra il romanzo storico e il saggio romanzato, e l’ambizioso intento di illustrarci la genesi dei pregiudizi razziali che tante tragedie hanno causato nella storia recente d’Europa; in che modo ordire un complotto; come manipolare la stampa e l’opinione pubblica; cosa si nasconde dietro la facciata eroica degli eventi storici e infine, ma non meno importante, come preparare la caponata siciliana, i fonds d’artichauts à la jardinière o la bagna caoda piemontese.
Il protagonista del libro, Simonino Simonini (sarà un caso che le sue iniziali siano SS?), nasce a Torino. Persa giovanissimo la madre, con il padre carbonaro sempre intento a tramare insurrezioni lontano da casa, finché non cade in difesa della Repubblica Romana, Simonino viene cresciuto dal nonno, ex ufficiale del regio esercito, uomo tutto di un pezzo, nostalgico dell’Ancien Régime, con un'unica passione: la buona tavola. Il nonno gli inculca l’odio verso gli Ebrei, popolo immondo che trama da millenni oscuri intrighi per impadronirsi del mondo; i massoni, immondi illuministi che tramano da secoli per distruggere la Santa Chiesa Cattolica; le donne, sesso immondo bla, bla, bla… e in generale per tutti coloro che sono in qualche modo diversi e, ça va sans dire, per qualunque forma di progresso e democrazia. La figura del nonno s’ispira ad un individuo realmente vissuto (come la maggior parte dei personaggi del romanzo), tale Giovanni Battista Simonini, che nel 1806 denunciò un presunto complotto sionista per impadronirsi del mondo.
Con questi presupposti è scontato che il giovane cresca imbevuto di pregiudizi razziali, misogino e assolutamente privo di scrupoli. Alla morte del nonno, Simonini intraprende la carriera di falsario e di spia, prima al servizio del re di Sardegna e quindi trasferitosi a Parigi, per i servizi segreti francesi, tedeschi e russi (peccato, la CIA non c’è ancora..). Nella veste di 007 ante-litteram lo troviamo in Sicilia al seguito di Garibaldi, a Parigi durante l’insurrezione della Comune nel 1870, in prima fila nell’affare Dreyfus.
Ma la sua missione per la vita, nonché fonte di lauti guadagni, è la preparazione di una serie di “documenti storici” volti a dimostrare le oscure trame degli Ebrei in primo luogo, ma anche di massoni, gesuiti e satanisti, che poi rivende ai servizi segreti di tutto il mondo. Proprio ad uno dei suoi falsi artistici “il protocollo del cimitero di Praga” Eco immagina si sia ispirato il servizio segreto dello Zar, l’Okhrana, per preparare il famoso “Protocollo dei Savi di Sion”, il documento che diffamava gli Ebrei e che fu creduto vero fino alla Seconda Guerra Mondiale. Dopo una vita di infami tradimenti, di diffamazioni su larga scala ed efferati omicidi l’ormai anziano capitano Simonini arriva impunito alla sua ultima congiura, il primo attentato ad una metropolitana della storia, il cui esito, probabilmente a lui infausto, ci viene solo lasciato immaginare.
Le capacità descrittive di Umberto Eco non possono essere messe in discussione, la sua tecnica è impeccabile e il lessico utilizzato è perfettamente adeguato e comprensibile al vasto, e non sempre inclito, pubblico, verso il quale il libro è rivolto. Eco ci fornisce una grande quantità di informazioni – forse troppe - interessanti spunti di riflessione, affascinanti illustrazioni tratte da testi dell’800, e persino dettagliate ricette di cucina, ma si fa prendere la mano dalla sua preponderante cultura e dimentica gli ingredienti-base del romanzo di successo: l’emozione, il coinvolgimento, il brivido, l’intreccio, e magari un briciolo di poesia che, come il prezzemolo, sta bene ovunque, anche nei romanzi storici.
La trama del “Cimitero” è fin troppo lineare, e dopo i primi capitoli, chi rammenta anche vagamente la storia sa già in anticipo quando e cosa il protagonista farà. La forma di diario doppio tenuto dalle due personalità contrapposte del protagonista, che appare inizialmente cosi originale, diventa poi un vuoto esercizio che non approda a nulla, i personaggi appaiono legnosi e poco profondi: una serie di “figurine panini” storiche. Insomma il professore di semiotica, il meccanico delle parole, il profondo e distaccato erudito, alla fine prende il sopravvento e confeziona un testo troppo romanzato per essere un saggio e troppo “saggio” per essere un romanzo.
Ciononostante il libro va letto: magari in versione economica, magari sorseggiando uno Château-Margaux e pasteggiando con delle aubergines à l’espagnole e magari - per evitare le polemiche che sono sorte sulla presunta mancata presa di distanza esplicita di Eco dalle opinioni razziste e retrive del suo personaggio - in compagnia di una donna, ebrea, comunista, massone, satanista e un po’ escort.
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